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La Spia Nazista

2023-02-10 09:25

Simone Barcelli

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La Spia Nazista

L'ultimo rifugio delle SS. La fuga dei criminali di guerra in Argentina, il ruolo di Evita Peròn e la ricerca del tesoro scomparso della Reichsbank.

C’è chi ha sospettato Eva Perón di essere stata addirittura una spia al soldo dei nazisti, come suggerisce il giornalista Marcelo Damian Garcia in un libro pubblicato nel 2017. In questo caso l’autore piega alla sua volontà centinaia di documenti declassificati nel 2014 dall’FBI, in cui John Edgar Hoover, lo storico fondatore dell’agenzia investigativa, che ne resse le sorti per trentasette anni dal 1935 al 1972, emerge come propulsore delle indagini soprattutto in Argentina, ove veniva segnalata da tempo un’efficiente rete di protezione per i nazisti in fuga, compreso Adolf Hitler. L’ipotesi sostenuta da Garcia vede antagonisti l’agonizzante Germania nazista e l’emergente Argentina di Perón: quest’ultimo voleva imprimere slancio alla sua nazione in tutta l’America meridionale, replicando quanto già fatto dal Nazionalsocialismo in Europa; per fare ciò, il presidente avrebbe finanziato le sue ambizioni saccheggiando le risorse economiche e finanziarie che i tedeschi avevano già trasferito in Argentina, ma troverà sulla sua strada un ostacolo davvero inaspettato, la moglie Eva Duarte, che avrebbe posto in salvo quei tesori proprio durante alcune tappe del suo viaggio in Europa nel 1947.

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Peron y Eva Acto en Plaza de Mayo bis-1MAY1952

Eva Duarte de Perón morì a soli trentatré anni il 26 luglio 1952. Nel settembre dell’anno prima, le fu infatti diagnosticato un tumore all’utero e, pur essendo stata sottoposta a un intervento chirurgico estensivo dal noto oncologo americano George T. Pack del New York Memorial Hospital, il carcinoma ormai diffuso agli organi pelvici adiacenti non le diede scampo. Fra l’altro, Evita non seppe mai di avere avuto il cancro, poiché la diagnosi le fu tenuta nascosta dal marito che temeva ripercussioni sulle imminenti elezioni.(1)

 

Il neurochirurgo Daniel E. Nijensohn della Yale University, in uno studio pubblicato sulla rivista Neurosurg Focus nel 2015, ha rivelato che circa un mese prima che Eva morisse, le fu praticata anche una lobotomia, un intervento al cervello in cui vengono recise le connessioni neurali con il lobo prefrontale, per interrompere le risposte emozionali. L’operazione, di cui non si seppe nulla per almeno sessant’anni («le cartelle cliniche furono secretate, distrutte o falsificate, impedendo così una ricostruzione documentale»),(2) fu decisa per alleviare il dolore cronico che il tumore provocava alla donna.

 

In realtà, come sostiene Nijensohn, la lobotomia prefrontale praticata segretamente dal neurochirurgo James Leonard Poppen della Lahey Clinic di Boston,3 avrebbe completamente inebetito Evita, portandola alla morte molto più rapidamente di quel che avrebbe fatto il carcinoma.

 

L’infermiera Manena Riquelme, pur non avendo partecipato all’intervento, ricevette l’informazione personalmente da Poppen e confermò che Evita divenne un vegetale, smettendo anche di mangiare. Nijensohn ritiene però che all’origine di quell’operazione, ci fosse la volontà di Juan Domingo Perón di frenare, in qualche modo, i comportamenti irresponsabili della consorte, che nel suo ultimo discorso pubblico del 1° maggio 1952, per esempio, aveva esortato la folla affinché si rivoltasse contro i nemici del peronismo, col rischio concreto di provocare una sanguinosa guerra civile.

 

Forse a causa della malattia terminale, la donna era infatti piombata in uno stato di profonda alterazione mentale che la conduceva anche a scrivere violente invettive nei confronti dei nemici del popolo e a incitare i descamisados alla rivolta armata.

 

Fra l’altro, come racconta la scrittrice Maria Santini, era stata proprio Eva Duarte a sventare il 2 ottobre 1951 il colpo di stato del generale Benjamin Menendez:

 

«Dal suo letto di malata Eva aveva ordinato di armare i sindacati: nè più nè meno.

Perón, il prudente, annullò subito il suo ordine, è vero, ritenendo pericoloso mettere le armi in mano al popolo: ma i descamisados, chiamati dall’indomita loro madre, accorsero in folla ad occupare Buenos Aires e la plaza de Mayo. Il golpe era fallito».

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Eva Duarte

Tanto è vero che, nel settembre 1951, dal suo letto d’ospedale e senza avvertire il marito, aveva acquistato dal Principe Bernhard d’Olanda, cinquemila pistole automatiche, millecinquecento mitragliatrici e un’enorme quantità di munizionamento, pagando in contanti col tramite della (1) Fondazione Eva Perón, poiché voleva armare la fazione oltranzista del partito e creare una milizia dei lavoratori.

 

Nijensohn, richiamando in buona sostanza le indagini del giornalista Nelson Castro, condensate nel libro Los últimos días de Eva: Historia de un engaño del 2014, sottolinea quel che stava già accadendo per volere di Eva Duarte: «Un gruppo selezionato di ufficiali e sottufficiali di indiscutibile lealtà ha iniziato a formare i lavoratori nelle province nord-orientali dell’Argentina. Ciò è stato fatto all’insaputa del marito, e ha rivelato una vena particolarmente autoritaria con una tendenza alla violenza contro chiunque lei percepisse come un nemico. Più di 1000 uomini e donne si sono formati nell’isola di Cerrito, nella provincia di El Chaco, sotto la guida del governatore Felipe Gallardo. Quando Perón venne a conoscenza di ciò, non nascose il suo malcontento e, dopo la morte di Evita, ordinò che le armi fossero collocate in un arsenale militare, l’Estban de Luca, per essere usate dalla Gendarmeria Nazionale».

 

Nijensohn conclude asserendo di aver rinvenuto prove sufficienti per confermare che la lobotomia prefrontale eseguita su Evita, fu fatta non solo per lenire il dolore, ma per modificarne la personalità e il comportamento. Certamente l’operazione fu autorizzata da Perón, che temeva evidentemente ci fosse una cospirazione politica nei suoi confronti.(5)

 

Già che ci siamo, spendiamo due parole anche per Bernhard van Lippe-Biesterfeld, Principe d’Olanda, poiché, poco prima del secondo conflitto mondiale, arrivò alla nota IG Farben in veste di segretario del consiglio d’amministrazione dopo un anno e mezzo trascorso nelle SS, fino al 1934.

 

Il nobile faceva parte dell’ufficio IG Farben N.W. 7 a Berlino, in altre parole la centrale dell’intelligence economica tedesca, i cui funzionari dal 1939 transitarono nella Wehrmacht, pur rimanendo al loro posto. Creato nel 1929 come dipartimento di statistica, conosciuto anche come “rete VOWI”, arrivò anche in America l’anno dopo con la The United States & Transatlantic Service Corporation di New York, che nel 1931 cambio nome in Chemnyco, Inc. Le redini dell’azienda erano sempre in mano a Max Ilgner, il nipote di Hermann Schmitz che sedeva nel consiglio d’amministrazione di American IG. (6)

 

Bernhard van Lippe-Biesterfeld sarà poi il cofondatore del Gruppo Bilderberg, che si riunì per la prima volta nel 1954 per volere di David Rockfeller al Bilderberg Hotel di Oosterbeek, nei Paesi Bassi.(7)

 

(8) C’è chi ha sospettato Eva Perón di essere addirittura una spia al soldo dei nazisti, come suggerisce il giornalista Marcelo Damian Garcia in un libro pubblicato nel 2017. In questo caso l’autore piega alla sua volontà centinaia di documenti declassificati nel 2014 dall’FBI, in cui John Edgar Hoover, lo storico fondatore dell’agenzia investigativa, che ne resse le sorti per trentasette anni dal 1935 al 1972, emerge come propulsore delle indagini soprattutto in Argentina, ove veniva segnalata da tempo un’efficiente rete di protezione per i nazisti in fuga, compreso Adolf Hitler.

 

Il giornalista Gianluca Di Feo spiega che i files «contengono segnalazioni di ogni genere, dalle visioni dei medium alle voci assurde, ma anche rapporti circostanziati provenienti da tutto il mondo. Edgar J. Hoover, il leggendario fondatore dell’Fbi, ne esamina numerosi in prima persona, ordinando ad ambasciate e detective di approfondire le segnalazioni».(9)

 

L’ipotesi sostenuta da Garcia vede per una volta antagonisti l’agonizzante Germania nazista e l’emergente Argentina di Perón: quest’ultimo vuole imprimere slancio alla sua nazione in tutta l’America meridionale, replicando quanto già fatto dal Nazionalsocialismo in Europa; per fare ciò, il presidente vorrebbe finanziare le sue ambizioni saccheggiando le risorse economiche e finanziarie che i tedeschi hanno già trasferito in Argentina, ma troverà sulla sua strada un ostacolo davvero inaspettato, la moglie Eva Duarte, che avrebbe posto in salvo quei tesori proprio durante alcune tappe del suo viaggio in Europa.(10)

 

In fondo, come scrive il giornalista Ernest Villar, «Uno dei sopravvissuti del campo di concentramento di Dachau, Jose Jakunovich, in un intervista a ”La Nación”dichiarò, che nel libro sul “Processo di Norimberga” c’era un documento molto importante, una lettera di un gerarca nazista ad un altro suo camerata scritta prima della fine della guerra, in cui diceva: “Perón ha una amica di nome Eva che sarà molto utile a noi”. Evita non era ancora diventata sua moglie».(11)

 

(2) Quella di Garcia, una ricostruzione per lunghi tratti del tutto inverosimile, potrebbe comunque contenere qualche elemento di verità, poiché Perón, dopo la morte di Evita, farà molta fatica a riprendere possesso di quei danari macchiati di sangue, come spiegava bene lo storico Marco Dolcetta: «quando nel novembre 1972 Perón torna in Argentina, al suo fianco c’è Isabelita, la nuova sposa, che però non ha problemi di gelosia retroattiva, e non si oppone a che la salma di Eva rientri in patria con un volo di linea. Secondo alcune inchieste giornalistiche, quella bara non conteneva solo il corpo di Eva, ma parte del tesoro affidato dai nazisti all’Argentina. Si trattava cioè del denaro depositato a Ginevra presso la banca di Genoud, unico banchiere svizzero, a detta di Juan Perón, a essere stato onesto con lui, rendendogli l’intera cifra depositata dai tedeschi in certi conti cifrati con esplicita delega di ritiro a nome dei coniugi Perón».(12)

 

Lo scrittore Andrea Carlo Cappi spiega, meglio di altri, le traversie occorse al cadavere imbalsamato di Eva Perón, che nel 1957, un paio d’anni dopo la caduta di Perón, venne trasferito sotto falso nome - Maria Maggi, vedova De Magistris -, in Italia, nel cimitero milanese del quartiere Musocco. Qui sarà recuperato solo all’inizio degli anni Settanta, poco prima del ritorno al potere di Perón.

 

Secondo la ricostruzione del giornalista e scrittore Miguel Bonasso, come scrive Cappi, «gli agenti del SIE [il Servicio de Inteligencia del Ejercito - Servizio Informazioni dell’Esercito, n.d.a.] penetrano nell’ambasciata italiana per procurarsi carte e timbri destinati a fabbricare una falsa identità alla morta, mentre papa Pio XII accetta di dare il proprio appoggio all’operazione al solo scopo di dare cristiana sepoltura a Evita. Il sacerdote italiano, che ha assunto la fittizia identità di padre Alessandro Angeli, affitta la tomba 86, campo 41, al cimitero di Musocco, dando come riferimento in Italia il nome e l’indirizzo di una sorella laica della Compagnia di San Paolo: Giuseppina Airoldi, via Mercalli 23, Milano...

 

Nell’aprile del 1957 la cassa, contenente ufficialmente le spoglie mortali dell’italiana Maria De Magistris, viene imbarcata sul Conte Biancamano e compie la traversata fino a Genova, dove padre Angeli la prende in consegna per seppellirla a Milano. Un dettaglio tuttora oscuro è il peso della cassa, che si sarebbe aggirato sui quattrocento chili.

 

Che cosa si trovava nella bara, insieme all’esile corpo di Evita?

 

Qualcuno sospetta che si trattasse di una parte del suo leggendario tesoro di gioielli e lingotti d’oro, sfuggita alla requisizione effettuata dal governo argentino».(13)

 

In un’intervista rilasciata a Jorge Garrappa Albani nel 2016, Aldo Villagrossi - autore del libro Le false verità (2012) -, la cui famiglia è stata marginalmente interessata al recupero della salma di Evita Perón, racconta che «quel feretro fu visto da tutto il pianeta. Non passava inosservato. Pesava 400 kg. L’autista che portò il corpo da Milano a Madrid nel 1971, Roberto Germani, disse che “per spostare quella cassa ci volevano come minimo quattro uomini”. E questo catafalco viene caricato su una nave, va da Buenos Aires fino a Genova passando da New York, va con un carro funebre che deve essere enorme (siamo nel 1956, i carri funebri del tempo sono di dimensioni ridotte rispetto a oggi) da Genova a Milano e poi calata in una fossa con l’ausilio di paranchi speciali... e nessuno se ne accorge?».(14)

 

Per quel che concerne il misterioso ‘padre Angeli’, prosegue Cappi, poteva essere «il nome falso adottato dal superiore della Compagnia. Secondo la ricostruzione dello scrittore Tomas Eloy Martinez, Alessandro Angeli era il nome scritto su una falsa carta di identità fornita a padre Giulio Madurini, all’epoca presidente della Compagnia di San Paolo».

 

Il presidente argentino Alejandro Agustin Lanusse Gelly Lanusse, nel settembre del 1971 incaricava il colonnello Hector Cabanillas dei servizi segreti di recuperare il corpo della moglie di Perón: «Cabanillas si presenta a Musocco come Carlos Maggi, fratello di Maria Maggi De Magistris, e riprende possesso della bara. Un carro funebre trasporta la salma fino a Madrid, dove il corpo viene consegnato alla villa di Perón. Al momento di aprire la bara, il vedovo rimane sconvolto: la salma porta i segni di diverse coltellate e di fratture al naso e alle rotule, oltre al dito amputato. Opera dei militari che hanno requisito la salma negli anni Cinquanta».(15)

 

(3) La faccenda del dito amputato è spiegata, per chi vuole crederci, da Stefano Ciavatta: «Al corpo vennero amputati la punta del lobo dell’orecchio sinistro e la terza falange del dito medio, nella mano destra, tagliate dai medici legali del governo per l’identificazione».(16) Anche il giornalista Sergio Rubin, sulle pagine del Clarin, ha ripercorso tutti gli accadimenti attorno al corpo di Evita che, dopo la rielezione di Perón, finalmente nel 1974 è tornato a essere sepolto nella sua terra.(17)

 

Durante il suo esilio, negli anni Sessanta, Perón le aveva provate tutte per recuperare quanto depositato da Evita negli altri istituti bancari svizzeri, incaricando in tal senso uomini di fiducia come Americo Barrio e Maria Estela Isabel Martinez, la sua terza moglie, che avrebbe dovuto essere accompagnata nella circostanza da Ninì Montiam (una vecchia amica di Evita, che in realtà non fu di nessun aiuto), senza peraltro riuscire nell’intento. Lui nel frattempo si trovava in esilio e la Svizzera non gli concesse mai i visti d’ingresso.(18)

 

(19) Circa la provenienza di quella fortuna, Giuseppe Casarrubea e Mario José Cereghino spiegano che secondo un rapporto della CIA del 23 marzo 1972 «Perón punta ad appropriarsi di vari milioni di dollari depositati presso una banca svizzera. Vi sono prove che questi fondi sono stati versati da nazisti latitanti».(20)

 

Per chiudere in qualche modo il cerchio, è di grande interesse anche conoscere, con le parole di Andrea Carlo Cappi, la sorte occorsa al fratello di Evita, che accompagnò la donna nel suo viaggio in Europa e certamente era l’unico depositario, assieme alla sorella, del segreto dei conti correnti svizzeri: «“Juancito” Duarte è un personaggio scomodo: conosce i numeri dei conti cifrati in Svizzera, ha libero accesso ai gioielli di Evita e viene accusato di illeciti guadagni nelle esportazioni di carne. Se Juancito sia colpevole o semplicemente un capro espiatorio non è possibile saperlo: il fratello di Evita viene trovato morto nel suo appartamento il 9 aprile 1953, poco dopo un viaggio in Svizzera durante il quale ha firmato documenti che consentono a Perón l’accesso ai conti della moglie, compresi quelli di provenienza nazista.

 

Malato di sifilide, privato dell’appoggio e dell’affetto della sorella, fermato dalla polizia mentre tentava di fuggire da Buenos Aires, Juancito si sarebbe suicidato con una Smith & Wesson 38.

 

A guastare la grossolana messinscena sono la testimonianza dei vicini che hanno sentito diverse persone nel suo appartamento, una falsa lettera d’addio preparata dalla polizia segreta e il fatto che il proiettile che ha ucciso Juan Duarte non era calibro 38 ma calibro 45.

 

In seguito il cranio di Juancito, prova tangibile dell’inganno, sparirà dalla tomba».(21)

 

È possibile che l’ultimo viaggio in Svizzera compiuto da Juan Duarte, sia stato in qualche modo ‘propiziato’ da Perón (secondo Infield anche da Skorzeny), affinché firmasse i documenti necessari per consentire l’accesso al denaro e ai gioielli di Evita, custoditi a nome della sorella nei conti correnti e nelle cassette di sicurezza di una banca di Zurigo.(22)

 

La giornalista investigativa Isabel Vincent, dal canto suo, cita un documento datato 23 marzo 1972, custodito negli archivi della CIA, in cui si dice effettivamente che Eva Perón potrebbe aver depositato almeno sessanta milioni di dollari in una banca svizzera durante quel viaggio in Europa. In buona sostanza, il malloppo sarebbe stato collocato all’interno di una cassetta di sicurezza registrata a nome di Juan Duarte, nella filiare del Crédit Suisse di Berna.(23)

 

Jorge Antonio Chibene, uno scaltro uomo d’affari, da sempre vicino alla famiglia del presidente Perón, di cui era amico, consulente e consigliere, lavorò negli anni Cinquanta alle dipendenze di note multinazionali tedesche che producevano in Argentina autocarri, macchine agricole e motori. In un’intervista egli rivelò che, dopo aver fatto aprire la bara di Juan Duarte, Cesar Fernandez Albarino, soprannominato Capitano Gandhi, «un membro dell’apparato repressivo di Libertadora [Revolución Libertadora fu soprannominato il regime dittatoriale che prese il potere in Argentina dopo aver rovesciato con un colpo di stato Juan Domingo Perón, nda]», recise personalmente la testa con una sega e un martello e «la avvolse nel giornale e la portò nel suo ufficio con la scusa di fare esperienza balistica».(24)

 

Ma non è finita.

 

Il 29 giugno 1987, nel cimitero della Chacarita a Buenos Aires, anche la tomba di Perón, morto nel 1974, fu profanata: oltre al furto della sciabola e altri cimeli, al corpo del 4 presidente furono addirittura amputate le mani con una sega elettrica; fu avanzata la richiesta di un riscatto di otto milioni di dollari (che per la cronaca non fu mai pagato) per la loro restituzione.(25)

 

(26) Come rilevano i giornalisti de La Nación, secondo il rapporto forense «la mano destra è stata tagliata all’altezza del polso e l’altra è stata tagliata sopra quell’articolazione, dove l’osso è più morbido. La presenza di segatura da cadavere che non aveva impregnato la gonna della divisa del generale indicava che i tagli erano stati recenti, non più di una settimana prima della scoperta. Gli esperti hanno determinato che le mani erano state tagliate con una sega a becco fine simile alla sega tipo Gigli, uno strumento chirurgico costituito da una lama molto sottile con denti in tre direzioni».(27)

 

Stefano Ciavatta ha sottolineato che le impronte digitali del presidente erano «indispensabili - secondo una intervista rilasciata da un ex funzionario di banca al Wall Street Journal nel 1995 - per essere riconosciute dai sensori di una cassaforte particolare, quella di Perón, mai ritrovata».(28)

 

Ma c’è da dire che nei primi anni Cinquanta, con una situazione economica in forte ristagno - dovuta alla progressiva mancanza di liquidità dopo le nazionalizzazioni degli anni precedenti; alla notevole diminuzione delle esportazioni in Europa per la concorrenza degli Stati Uniti dopo l’approvazione del Piano Marshall; e, non ultimo, ai debiti contratti nel frattempo dalle banche private argentine nei confronti di quelle americane -, Perón fu costretto per la prima volta ad accettare un prestito dagli Stati Uniti, compromettendo per sempre l’indipendenza del suo paese.

 

La ripresa delle relazioni diplomatiche tra le due nazioni, visti i precedenti, fu anche merito della politica distensiva del presidente Dwight Eisenhower e della penetrazione economica degli Stati Uniti nell’America Latina, in chiave anticomunista, promossa dal nuovo segretario di Stato John Foster Dulles. Fu così che la Eximbank (Bank of Exports and Imports), un’agenzia bancaria controllata direttamente dal governo, il 10 marzo 1955 autorizzò un credito per sessanta milioni di dollari, destinato all’acciaieria di San Nicolás, per l’acquisto di attrezzature, impianti e servizi dagli Stati Uniti.

 

Perón, che il 25 aprile 1955 sottoscrisse anche un contratto con Standard Oil of California per concedere lo sfruttamento di giacimenti petroliferi nella provincia di Santa Cruz (poi ricusato dal nuovo governo), aveva esclamato qualche tempo prima che si sarebbe tagliato le mani piuttosto che indebitare la nazione.(29)

 

Ecco, per alcuni questa rimane la spiegazione più logica alla particolare profanazione del corpo di Perón. Senza dimenticare che il presidente, per salutare i descamisados, alzava sempre entrambe le mani: l’amputazione degli arti potrebbe quindi rientrare in un processo di decontestualizzazione, operato da forze antiperoniste.(30)

 

Simone Barcelli, L’ultimo rifugio delle SS, Panda Edizioni, luglio 2022 

 

 

 

5 1 Lawrence K. Altman, From the Life of Evita, a New Chapter on Medical Secrecy, The New York Times, 6 giugno 2000.

 

2 Aldo Balzanelli, Una donna scomoda, La Repubblica, 30 maggio 2020.

 

3 Mayur Sharma, Venkatesh Madhugiri e Anil Nanda, James L. Poppen and Surgery of the “Seat of the Soul”: A Contemporary Perspective, ScienceDirect, 9 febbraio 2013.

 

4 Maria Santini, Toglietemi lo smalto rosso dalle unghie. Storia di Evita Perón, Simonelli Editore, 2012.

 

5 Daniel E. Nijensohn, Prefrontal lobotomy on Evita was done for behavior/personality modification, not just for pain control, Neurosurg Focus n. 39, luglio 2015.

 

6 Mira Wilkins, The History of Foreign Investment in the United States, 1914-1945, Harvard University Press, 2009.

 

7 Antony Cyril Sutton, Wall Street and the Rise of Hitler, Press, 1976.

 

8 Bruno Waterfield, Dutch Prince Bernhard 'was member of Nazi party', The Telegraph, 5 marzo 2010.

 

9 Gianluca Di Feo, Fbi, il dossier su Hitler, L’Espresso, 19 ottobre 2015.

 

10 Marcelo Damian Garcia, La agente nazi Eva Perón y el tesoro de Hitler, Sudamericana, 2017.

 

11 Ernest Villar, El misterioso viaje de Eva Perón y el tesoro de los nazis, La Razón, 4 settembre 2011.

 

12 Marco Dolcetta, Spettri del Quarto Reich: Le trame occulte del nazismo dal 1945 a oggi, BUR, 2013.

 

13 Andrea Carlo Cappi, Le due vite di Evita, Fronte del Blog, 10 novembre 2016.

 

14 Jorge Garrappa Albani, Sulle tracce di Eva Peròn..., Lombardi nel Mondo, 20 gennaio 2016.

 

15 Andrea Carlo Cappi, op. cit.

 

16 Stefano Ciavatta, Santa Evita, RivistaStudio, 14 marzo 2013.

 

17 Sergio Rubin, Un cadaver secuestrado, ultrajado y desterrado, Clarin, 5 luglio 2019.

 

18 Marco Dolcetta, op. cit.

 

19 Jorge Camarasa, Organizzazione Odessa, Mursia, 1998.

 

20 Giuseppe Casarrubea e Mario José Cereghino, Tango Connection. L'oro nazifascista, l'America Latina e la guerra al comunismo in Italia. 1943-1947, Bompiani, 2007.

 

21 Andrea Carlo Cappi, op. cit.

 

22 Alicia Dujovne Ortiz, Evita, un mito del nostro tempo, Mondadori, 1996.

 

23 Isabel Vincent, L’oro dell’Olocausto, Rizzoli, 1997.

 

24 Felipe Pigna, Entrevista a Jorge Antonio, Revista Noticias, 2004.

 

25 I casi di salme trafugate da Chaplin a Ferruzzi, La Repubblica, 17 marzo 2001.

 

26 Un cadavere profanato sconvolge l’Argentina, La Repubblica, 4 luglio 1987.

 

27 Gustavo Carabajal, Manos olvidadas: sigue el misterio de la profanación de la tumba de Perón, Diario La Nación, 30 giugno 2015.

 

28 Stefano Ciavatta, op. cit.

 

29 Francisco Corigliano, Un giro sustancial en la política exterior (1952-1955), Historia general de las relaciones exteriores de la República Argentina, Grupo Editor Latinoamericano, 2003.

 

30 AA.VV., Death, Dismemberment and Memory: Body Politics in Latin America, University of New Mexico Press, 2004


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Simone Barcelli è un divulgatore di Storia antica, archeologia e mitologia.

Già webmaster del portale Tracce d'eternità è stato per anni curatore dell'omonima rivista digitale in download gratuito per gli utenti. Ha collaborato con Edizioni XII nella selezione di testi inediti. Collabora con Cerchio della Luna Editore per la scelta, l'editing e la realizzazione di titoli monografici per la serie "I Quaderni di Tracce".


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