In Grecia la tradizione indica che la devozione a Crono era particolarmente sentita nella Beozia, nell’Attica e nell’Arcadia.
Nel 2008, un’importante conferma. In Arcadia, sul Monte Lykaion (in italiano Monte Liceo), 35 chilometri da Olimpia, ricercatori della University of Pennsylvania, hanno per la prima volta rinvenuto i resti di un tempio dedicato a Kronos risalente all’inizio del III millennio a.C. Le rovine giacevano al di sotto delle fondamenta di un santuario dedicato a Zeus.
Il ritrovamento archeologico ha comprovato che il culto del Titano era già consolidato in epoca preindoeuropea.
In ogni qual modo abbiamo prove della deferenza a Crono in altri luoghi del mondo antico, a Delfi, Rodi e specialmente in Sicilia, soprattutto nell’area occidentale. Le informazioni sulla venerazione di Crono in Sicilia però sono scarse sebbene sembri certo che qui tale culto fu associato a quello di Baal.
L’opinione più popolare vuole che, nel processo di romanizzazione dell’Africa e della Sicilia, la figura di Crono, già assimilata all’italico Saturno, sia finita per incarnare anche la divinità punica d’origine siro-cananea e fenicia.
A questo punto però mi permetto una considerazione.
Siamo certi, come spesso si sostiene, che il culto di Crono in Sicilia sia stato di origine ellenica?
La cultura da cui emersero i Sicani era insediata nella maggior parte dell’isola siciliana fin da tempi remotissimi e la presenza dei Sicani nella Sicilia occidentale è, grazie a scavi archeologici, attestata tra il III e il II millennio a.C. Le genti fenicie invece sono documentate a partire dall’VIII sec. a.C., mentre gruppi greci si insediarono in quelle aree intorno al VI sec. a.C.
In base a ciò credo lecito sollevare il dubbio se il culto di Crono (o di una divinità assimilabile) fosse già diffuso tra i Sicani prima dell’arrivo dei Greci in Sicilia.
A sostegno di ciò ricordo per esempio che il così detto “Tempio di Diana” sulle alture di Cefalù fu edificato su un’altra antica struttura megalitica risalente al IX secolo a.C., un edificio sacro dei Sicani che celebrava la loro Dea della caccia di cui non ci è giunto il nome.
Questo genere di sovrapposizioni è tutt’altro che raro.
Poco sappiamo sull’antichità, sull’origine e la provenienza di certi culti e spesso è praticamente impossibile distinguere quelli autoctoni da quelli importati, così come è difficile stabilire l’epoca iniziale delle pratiche religiose. Comunque, molti elementi permettono di sostenere che il mito di Crono fu ben radicato in Sicilia.
In analogia con le ipotesi archeologiche accennate poc’anzi, la tradizione riferisce che le prime strutture sociali siciliane sorsero durante l’arcaica “Età dell’Oro”. Seguendo le orme del mitico sovrano dell’età aurea, scopriamo alcuni luoghi della Sicilia che denotano tracce di origini millenarie.
Racconti leggendari narrano che il falcetto usato da Crono per mutilare il padre Urano, deposto in mare, diede origine al Braccio San Ranieri, ovvero l’insenatura del porto di Messina, anticamente Zancle, colonia greco-siceliota. Ne parla Tucidide: “Zancle all’inizio era stata così chiamata dai Siculi, poiché il posto ha l’aspetto di una falce (i Siculi chiamano la falce ‘Zanklon’)”. (La guerra del Peloponneso VI, 4, 5)
Per altri la falce di Crono andò invece a formare il promontorio di Trapani (l’antica Drèpanon, in greco Δρέπανον = falce). Trapani conserva ancora il suo legame con Crono con simboli a tutt’oggi visibili: una falce decora la parte superiore dello stemma trapanese e in Piazza Saturno fa mostra di sé la trecentesca fontana di Saturno. Ai giorni nostri la popolazione locale considera ancora tale divinità come il mitico protettore della città. “Crono, dicono, era signore della Sicilia e della Libia, e anche dell'Italia, e, in una parola, stabilì il suo regno sulle regioni a Ovest; e dovunque occupò con guarnigioni le colline dominanti e le fortezze delle regioni, per questo motivo sia per tutta la Sicilia che per le parti che chinano verso occidente molti dei luoghi alti sono chiamati ancora oggi dopo di lui Cronia.” (Diodoro Siculo Biblioteca storica, lib. III. 61)
Il mito vuole che fu Saturno ad erigere il “Castello di Cronio” sul monte Ercta e Pellegrino, la montagna da sempre sacra alle genti palermitane.
Uno degli emblemi del capoluogo siciliano, il “Genio di Palermo”, (dal greco génnisi (γέννηση) = nascita, di conseguenza "generatore di vita") entità tutelare, simbolo laico e personificazione della città, coesistente e spesso in contrapposizione con Santa Rosalia, è raffigurato come un uomo attempato, barbuto e incoronato. Un serpente pare strisciare sul suo corpo per nutrirsi al suo petto.
Non esiste una mitografia specifica sull’origine di quella leggendaria divinità protettrice le cui rappresentazioni statuarie sono dislocate in vari luoghi del centro di Palermo.
Le simbologie rappresentate dal “Genio”, verosimilmente preromane, hanno valori incerti, ma indubbiamente si rifanno ad un antico sapere iniziatico e ad arcaici culti praticati in epoche remote e tramandati a lungo da gruppi sempre più ristretti, soprattutto dopo il propagarsi del cristianesimo.
Un anonimo manoscritto del XVIII secolo conservato a Palermo, identifica il “Genio” come la raffigurazione di “Saturno, dio della terra e del tempo, padre dei tempi e padre di dèi e uomini”. Lo stesso manoscritto specifica che la figura è anche il simbolo della cosiddetta “Anima del Mondo”.
L’antico pensiero presocratico che vede il costituente della vita come intrinseco alla materia stessa, concetto poi sviluppato da Platone nel Timeo, considera l’Anima Mundi come il principio unificante da cui si differenziano, secondo le specifiche tipicità, i singoli esseri viventi, i quali restano però connessi tra loro attraverso una comune Anima Universale.
In base a ciò il “Genio”, quale emblema sia di Saturno che dell’Anima Mundi, dovrebbe essere inteso “non soltanto come espressione del tempo, ma anche come Colui che, inalterabile, lo muove…”. (A. Samonà)
Sulla statua del “Genio” visibile all’interno di Palazzo Pretorio di Palermo è incisa l’espressione “Panormus conca aurea suos devorat, alienos nutrit.” che letteralmente è interpretata come “Palermo conca d'oro divora i suoi (figli) e nutre gli stranieri”.
Oltre il significato letterale si cela però un messaggio più profondo.
La parte della frase, “divora i suoi" (figli), è facilmente assegnabile alla peculiarità del Tempo che distrugge ciò che genera (di conseguenza a Crono/Saturno in quanto sua personificazione), ma il significato di “alienos nutrit” rimane assai fosco. Ed è proprio l’adespoto documento settecentesco palermitano, ad offrire il giusto spunto che consente di fare chiarezza: “...il tempo è divoratore delle cose che a lui soggiacciono ma riverisce il parto straniero e immortale della mente, in modo che le opere degne di eterna vita, non soltanto non vengono divorate dagli anni, ma piuttosto consumano e divorano i secoli quando siano espressione di immortalità e del Divino.”
Dunque, la mente umana con il suo potere creativo, quando questo è manifestazione del sovrannaturale, travalica la limitata condizione temporale.
I prodotti del talento creativo generati nella connessione con la Fonte Universale, acquisiscono un valore indipendente dal tempo, un valore che si eleva alla dimensione spirituale.
Quindi nell’oscuro motto del “Genio” di Palermo si accenna ad un valore “iniziatico” del tempo e al superamento della dimensione del "divenire", attinente alla realtà “profana”, in una dimensione che oltrepassa la temporalità, per condurre ad uno stato del tempo eterno nel suo essere. (A. Samonà)
“Genio” di Palermo (particolare). La statua ritrovata nel 1596 nelle cantine di Palazzo Pretorio, è oggi esposta sullo scalone monumentale del medesimo palazzo. credit: http://www.casamaltea.it/il-genio-di-palermo/
Passando ancora in rassegna le tracce di Crono in Sicilia, troviamo nel territorio di Misilmeri (Palermo), sulla sponda sinistra del Fiume Eleuterio, un’isolata vetta calcarea chiamata Pizzo Cannita. Si suppone che i ruderi di un edificio nei pressi della omonima grotta possano essere i resti di un tempio dedicato al dio Kronos.
Una leggenda racconta invece che il Monte Scuderi (già Monte Saturno) una delle cime più alte dei monti Peloritani, custodirebbe la tomba di Crono. Gli stessi Peloritani erano anticamente noti come Monti Cronii.
Il Monte San Calogero, un colle situato a pochi km. da Sciacca, è ancora oggi conosciuto come Monte Kronio (o Kronion) e la tradizione locale racconta che qui era situata la dimora del dio Kronos. Il Monte Kronio custodisce un vasto complesso sotterraneo di origine carsica, che si sviluppa, a vari livelli, in numerose cavità e cinque caverne principali: Grotta del Lebbroso, Grotta di Mastro, Grotta Gallo, Grotta Cucchiara e le Stufe di S. Calogero. Nel sistema ipogeo diverse aperture comunicanti sono interessate da fenomeni vulcanici secondari che generano risalita di aria e vapori sulfurei da un sottostante bacino idrotermale e temperature fino a 40°.
Le grotte del Kronio, la cui estensione è conosciuta solo in parte, sono oggi sfruttate con uno stabilimento termale, ma le sue proprietà terapeutiche erano note da tempo immemore.
Le esplorazioni finora effettuate hanno permesso di stabilire che le grotte sono state frequentate dall’uomo nel Paleolitico e più intensamente nel Neolitico, fino ad essere poi abbandonate durante l’eneolitico finale. Furono rioccupate in età arcaica (tra il 600 e il 480 a.C.?) forse per scopi cultuali, o forse per fini curativi già da quel momento. Inoltre, sono stati rinvenuti 40 grandi vasi di età preistorica (III millennio a.C., forse deposti quando la temperatura nei vani si manteneva più bassa) e anche ossa umane, ma non è chiaro se e in che modo fossero in relazione con i vasi.
Secondo la leggenda nelle grotte del Kronio una cavità fu scavata da Dedalo all’epoca in cui, fuggito da Creta, trovò ospitalità presso il re Cocalo. Diodoro Siculo (I secolo a.C.), parlando di Dedalo e delle opere da lui costruite durante il suo soggiorno in Sicilia, dice: “…nel territorio di Selinunte apprestò un antro nel quale estrasse con tale misura il vapore umido del fuoco che bruciava in esso, che per la dolcezza del calore coloro che vi si trattenevano trasudavano insensibilmente e a poco a poco, e curavano i corpi con godimento, senza essere danneggiati dal calore.” (Biblioteca storica lb. IV, 78)
Il complesso ipogeo del monte Kronio dista da Selinunte una trentina di km. in linea d’aria, quindi la descrizione parrebbe proprio coincidere. Nel 2010 in una delle grotte del Monte Kronio sono stati trovati altri antichi contenitori terracotta del IV millennio a.C. Le analisi, divulgate nel 2017, hanno rivelato che sul fondo delle giare s’erano conservati sedimenti di acido tartarico e sale di sodio, due residui chimici della vinificazione risalenti a oltre 6.000 anni fa.
Quei reperti non solo hanno costretto a retrodatare l’epoca della produzione di vino di ben 2.000 anni, ma implicitamente hanno confermato che durante l’Età del Rame la cultura a cui appartenevano era assai raffinata ed evoluta.
Antro di Dedalo da https://www.sciacca5sensi.it/prodotto/le-grotte-di-dedalo/
Su una rara moneta battuta in Sicilia nel 380 a.C., accanato alla testa di Kore (Persefone) compare la scritta “Kronia”. Secondo il numismatico Giuseppe Cavallaro la moneta ricorda coloro che rifugiandosi nel tempio di Kronos ebbero la fortuna di scampare alla distruzione di Himera, colonia greca in Sicilia i cui resti sorgono nel territorio di Termini Imerese.
Le impronte di Crono/Saturno in Sicilia ci riportano così di nuovo a Caltabellotta e alle sue rovine dedicate al Titano. Continua...
Grazie
Tiziana Pompili Casanova
Tiziana Pompili Casanova
Ricercatrice e scrittrice.
Ex speaker radiofonica e copywriter. Collabora con Biagio Russo e Paolo Navone alla gestione del gruppo Facebook “Viaggiatori dei Tempi”. Ha in cantiere diversi lavori editoriali (fra cui un romanzo e un saggio che presto saranno pubblicati) e altri progetti nel campo della ricerca storica.
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