La storia di Sarana comincia tanti anni fa... dentro uno specchio.
Avevo letto da poco il manuale “Mani di luce” di Barbara Hann Brennan e, curiosa come un gatto, cominciato ad eseguire alcuni degli esercizi consigliati nel libro per “vedere”.
L'esercizio consisteva nel disporsi di fronte ad uno specchio e guardare poco oltre una spalla poiché la percezione aurica avviene tramite i bastoncelli dell'occhio e si doveva eseguire in penombra.
Così misi un cuscino a terra e mi sedetti di fronte allo specchio. Ripetei l'esercizio per diversi giorni e non succedeva nulla se non che venivo regolarmente sopraffatta dalla stanchezza.
Un giorno provai una variante ragionando sul fatto che, forse, potevo creare io stessa la penombra accendendo una candela tra me e lo specchio, prolungando in tal modo i momenti naturali di penombra.
Il terzo giorno dell'esperimento con la candela stavo decidendo che non era cosa per me. Forse non avevo la capacità di visualizzare il mio campo energetico o, forse, tutto quello che avevo letto in quell'interessante manuale, era frutto dell'immaginazione dell'autrice.
E accadde che...
cominciai a scorgere un'immagine sovrapposta alla mia che, lentamente, si afceva più nitida fino ad adombrare completamente il mio riflesso nello specchio.
Era sconcertante: io ero completamente sparita ed ero stata sostituita dalla figura di una donna molto anziana, rugosa, con gli occhi piccolissimi e con le pupille che parevano stelle accecanti. Era seduta come me e indossava un abito scuro, di un blu notte cangiante e sulla testa portava un copricapo come una sorta di turbante dal quale fuoriuscivano due lunghe trecce che scendevano fino al seno. La figura sorrise ed io diedi un calcio alla candela nel tentativo di sollevarmi d'impeto da terra e fuggire dalla stanza.
Per qualche giorno misi da parte l'esperimento e mi convinsi di aver avuto una sorta di allucinazione dovuta, forse, al prolungamento dell'esercizio per troppo tempo.
E ogni sera, prima di coricarmi, coprivo lo specchio.
Finchè la mia mente logica prese il sopravvento e mi diedi della stupida superstiziosa.
Se quello che era accaduto fosse stato reale si sarebbe ripetuto e se volevo conoscere la verità dovevo armarmi di coraggio e distogliere la mente dalle stupidaggini.
Ripetei l'esercizio più e più giorni e, in tempi sempre più brevi, la donna rugosa appariva e mi sorrideva.
Tentai qualche altro esperimento del momento: muovevo le labbra, le mani, parlavo e cominciai anche a farle delle domande ma lei rimaneva immobile a fissarmi e sorridere.
Dato che non ottenevo ulteriori risultati apprezzabili, decisi di abbandonare l'esperimento ed eseguire delle ricerche in rete con l'unica logica che potevo seguire: trovare qualche immagine che somigliasse alla donna ello specchio o, almeno, all'abito che indossava.
La ricerca fu infruttuosa ma mi imbattei in diverse immagini che rappresentavano sciamani e sciamane dei popoli nativi americani.
Niente di simile a ciò che stavo cercando se non nello sguardo e nella linea degli occhi.
Forse mi ero immaginata tutto.
Forse era la mia aspettativa di “vedere” che mi aveva indotta alla percezione di quella strana figura che viveva solo nella mia mente.
Forse era meglio lasciar perdere.
Passarono alcuni anni. Una sera mi trovavo in conversazione con alcuni conoscenti quando, uno di loro mi disse che avevo i “lineamenti tartari”. La presi come una battuta e sorrisi. Tartaro, da quello che sapevo fino a quel momento, era il luogo mitologico in cui vennero rinchiusi i Titani ed era l'inferno.
Ma quel termine continuò a risuonarmi nella mente nei giorni successivi finchè non tornai in rete a cercare chi erano i tartari e scoprii che corrispondevano a popolazioni dell'attuale Mongolia.
Allora scrissi nella barra di ricerca “donne mongole” e, scorrendo diverse pagine, d'un tratto il cuore mi si fermò.
La foto era stata scattata da Alexander Khimushin, un fotografo che viaggiò in solitaria per nove anni per fotografare indigeni di 84 paesi del mondo e rappresentava una sciamana del popolo buriato.
Non era uguale alla donna dello specchio ma molto, molto simile.
Da quella foto cominciò una ricerca spasmodica e gratificante che mi condusse, forse, alle origini di qualcosa che percepivo dentro di me, quasi fosse parte del mio codice genetico.
Io lo chiamo ricordo ancestrale...
Credo di aver raccolto i frammenti di Sarana nelle centinaia di video in cui mi sono immersa, nei racconti degli sciamani delle steppe mongole e siberiane; nella “Storia segreta dei Mongoli” e in altri testi riguardanti un popolo per me, prima di allora, semisconosciuto e nelle pellicole cinematografiche più o meno attuali, anche in lingua incomprensibile, che ho guardato negli ultimi anni.
Guardando indietro, oggi, mi sembra di aver ricevuto una sorta di iniziazione che mi ha preparata ad affrontare la stesura del mio primo romanzo.
Il primo, sì, poiché ne avevo letti pochi e scritto nessuno, fino a Sarana essendomi occupata perlopiù di saggistica e manualistica in versione ghostwriter.
Una notte feci un sogno terribile. Non ricordo il giorno ma accadde nel mese di settembre del 2021, quello lo ricordo bene perché quel sogno decretò l'inizio di questa avventura.
Mi trovavo in cima ad una montagna, (o collina) verdissima. Potevo sentire la brezza sul viso e il profumo dell'erba bagnata dalla rugiada. Era l'alba e poco lontano da me, che stavo vivendo la scena in prima persona, c'era un capannello di persone intente in un rituale. Tra di loro, una donna suonava un tamburo e, muvendosi, tintinnava dandomi l'idea di un suono simile a quello di quelle campanelline denominate “chiama angeli”. Nessuno pareva accorgersi di me, dunque mi avvicinai e scorsi, a terra, il cadavere di una giovane donna che veniva dilaniato dagli avvoltoi. In preda al panico cominciai a fuggire ma la donna che suonava il tamburo mi corse dietro e mi raggiunse facendomi cadere a terra.
Sentivo il peso della donna e del suo abito tonante e non riuscivo a muovermi.
Non disse nulla e mi mise in mano un libro con le pagine completamente bianche. Poi riprese a suonare il tamburo e io mi svegliai, sudata e col cuore che pareva volesse fuggire dal petto e con quella sensazione di non rendermi subito conto di trovarmi nel presente.
Rimase un comando interiore da quel sogno-incubo. Qualcosa che mi diceva: scrivi la mia storia. Reticente, poiché non cerdevo di essere in grado di farlo, aprii un nuovo foglio word e cominciai a creare il primo personaggio che poi diventò Sarana.
Mano a mano che me la immaginavo si delineavano anche altri personaggi e una serie di luoghi che avevo già visto più e più volte nei video sulla Mongolia.
Dopo circa un mese ero pronta a cominciare la stesura.
Ogni volta che mi bloccavo in qualche punto, ignara di come poter proseguire, facevo un sogno rivelatore o mi svegliavo, nel cuore della notte, con la scena successiva.
Non so se è quello che succede ad ogni scrittore ma a volte mi capita di pensare, rileggendo il libro, che in qualche dimensione temporale Sarana sia presente e mi chieda di tornare nella sua terra.
Non so ancora come né quando ma le ho promesso, nel mio cuore, che la riporterò nella sua steppa, tra i suoi ricordi e la sua gente.
Grazie
Monica
Sarana il Giglio della Steppa