Un paio di mesi fa, mentre stavo conducendo una ricerca tra documenti riguardanti lo sciamanesimo uro – altaico, mi sono imbattuta in un titolo suggestivo che mi ha fortemente incuriosita: “Sciamani e cavalieri”
di Paolo Galiano. Poche pagine, dense di riferimenti e un curioso filo conduttore che attarversa il tempo identificando l'origine della cavalleria con lo sciamanesimo.
Nella mia mente ha preso forma, così, un altro frammento di quel puzzle storico che apparentemente
sembra disunito ma che, a ben guardare, è frutto di una conseguenza logica di eventi tali da dare un senso
sempre più reale e meno immaginifico del passato più remoto.
Anche l'autore del testo sancisce la difficoltà di risalire alle radici temporali del fenomeno sciamanico,
assumendo l'arrendevole posizione alla quale ogni ricercatore dell'argomento è costretto.
Egli dice infatti che “Ciò che non sappiamo è “chi” sia stato lo sciamano prima del periodo a cui noi
possiamo risalire: le stesse popolazioni eurasiatiche sono consce della decadenza dello sciamano dalla
sua potenza originaria e, d’altra parte, gli studi dell’Antropologia Culturale e della Storia delle Religioni
su questo particolare soggetto che è stato definito “il signore dell’estasi” iniziano nella seconda metà del
1800, e quindi ciò che è stato possibile raccogliere per iscritto è una tradizione orale non solo tarda ma
anche passata attraverso i contatti con cristianesimo, islamismo e buddhismo, almeno per le regioni
meridionali dell’area euroasiatica in cui lo sciamanesimo è meglio conosciuto e che costituiscono la
fonte più importante di documentazione.”
Purtroppo la sua conclusione è ragionevole e certa poiché nulla di scritto e, dunque, rilevabile
dall'archeologia, è rimasto di una cultura antica almeno quanto l'umanità postdiluviana se non la
trascrizione di elementi orali commista a credenze successive sfociate nelle attuali religioni. Come se, ad
un certo punto della storia, fosse venuto meno il ricordo esatto della nascita di un fenomeno socio
culturale che ha colonizzato il pensiero comune dell'epoca diluendosi, nel tempo, nei dettami frammentari di memorie riunite poi, alla rinfusa, nel corpus religioso.
La figura dello sciamano originario si confonde così nelle variopinte tuniche sacerdotali perdendo il reale
fondamento della sua nascita.
Ciò che possiamo desumere, oggi, è che lo sciamano deve essere stato una figura fondamentale alla
costituzione di un'epoca in cui la presenza di quelli che chiamiamo dei era congiunta alla conduzione
dell'esistenza di una comunità.
Egli era il re – sacerdote – estatico cui erano attribuiti i compiti di mediazione tra la razza degli dei e quella degli uomini in base a tendenze psicofisiche precise
e riconoscibili.
Come sostiene, ancora, Galiano “Data l’antichità del momento di cui stiamo parlando, il Paleolitico
Medio e forse ancora più indietro nel tempo, possiamo ipotizzare che in una fase iniziale le due figure,
sciamano e guerriero, portassero in sé componenti delle funzioni del Sovrano-Mago-Sacerdote mescolate
perché ancora non completamente divise” evincendo tale affermazione dai tradizionali strumenti ancora
oggi utilizzati da alcuni sciamani delle zone più remote della zona uro – altaica.
Fondamentali, infatti, per condurre il suo viaggio nei mondi paralleli, sono la veste (deel) spesso ricoperta di placche di ferro o rame in qualità di elementi figurativi dei diversi spiriti ai quali può rivolgersi nei suoi viaggi, il tamburo – cavalcatura e una serie di attività, dal canto alla danza, che contraddistinguono la sua unicità nel clan di appartenenza.
Il Cardini suppone (a giusta guisa a mio parere) che
“Il rumore prodotto dagli ornamenti ferrei durante la
danza sciamanica è un momento fondamentale nella tecnica di soggiogamento degli spiriti, e viene quasi
spontaneo il pensare al frastuono delle armi del cavaliere che urtano tra loro durante l’attacco... uno
degli elementi che più contribuiscono a fare del guerriero a cavallo un personaggio intorno al quale
aleggia una sorta di orrore sacro”; le azioni dello sciamano e del cavaliere si pongono su piani solo
apparentemente differenti: “Guerriero e sciamano, guerra e lotta contro gli spiriti, nemico militare e
sovrannaturale potenza da soggiogare venivano confrontati e assimilati tra loro. Ogni guerra diveniva in tal modo un bellum sacrum, ogni battaglia una psicomachia.”
Nei resoconti di viaggio esiste sempre, infatti, la rivelazione di una strenua lotta con gli spiriti (ad
esempio della malattia) dopo – o quando - l'azione diplomatica fallisce. E a volte tale resoconto è la
silenziosa immobilità della morte sul campo di battaglia.
Alla figura di questo guerriero suj generis, diremmo oggi, si affianca un'altra figura che, molto spesso,
coincide con lo stesso sciamano: quella del fabbro.
Nelle popolazioni euroasiatiche le due figure spesso coincidono, essendo attribuita al fabbro la capacità di
guarire e vaticinare.
Il fabbro è uno spirito inviato sulla terra a protezione degli uomini. Per gli Yakuti, ad esempio, egli è
K'daai Maqsin, il fabbro infernale che ha il potere di “di aggiustare le membra spezzate o amputate degli
eroi” (Mircea Eliade - Lo sciamanesimo e le tecniche dell'estasi) come il Dio-fabbro Lug riporta in vita i
caduti in battaglia per mezzo del suo calderone magico, il che pone in rapporto diretto il fabbro e il
guerriero.” (P. Galiano)
I Buriati considerano il fabbro come progenitore degli uomini e distinguono tra bianchi e neri (la
distinzione è presente anche nella figura dello sciamano che può ricoprire poteri differenti assurti ai due colori) che detengono i poteri degli spiriti elevati (tengeri) che li hanno inviati in mezzo agli uomini.
“Il più importante di essi è il padre dei nove fabbri maschi e dell’unica femmina, la quale ha la facoltà di
cacciare gli spiriti malvagi gettando contro di loro scintille infiammate; egli ha lasciato sulla terra la
pietra sacra (bumal) usata come incudine (“Una pietra caduta dal cielo / avete per incudine”) e allo
stesso tempo come sacro oggetto per mezzo del quale hanno luogo le iniziazioni dei fabbri.
I fabbri divini esercitano un’azione protettrice contro i ladri e i lupi, ma anche generatrice di ricchezza e
prosperità: “Allontanate quanto abbia del nero, quanto abbia del grigio, / conducete qui quanto è buono,
quanto è bello! / Davanti a noi siate la vigilanza, / dietro di noi siate l’ombra”
(Eliade - Testi...)
Tutto ciò è motivato dal fatto che pare, l'arte metallurgica, derivare dai Popoli delle steppe asiatiche giunti sull'altipiano iranico e in Persia per poi diffondersi in India e nell'Asia centrale e in Anatolia e nel Caucaso. Tutte regioni in cui attorno al XII sec. a. C. ha avuto origine la lavorazione del ferro estrattivo, differentemente dall'origine in cui ad essere lavorato era il minerale estratto da meteoriti precipitate sul suolo terrestre.
Fu probabilmente per tale origine che al metallo venne attribuita la funzione sacrale di
“metallo celeste” come lo chiamarono i Sumeri o “rame nero del cielo” per gli Egiziani. Questa connessione sopravvisse anche nella Grecia arcaica e la possiamo trovare nell'identificazione del termine
sideros = ferro che si collega spontaneamente al sideris = stella.
Nei racconti sciamanici il fabbro è colui che rimette insieme (rinsalda) i pezzi del corpo smembrato
dell'iniziando e lo fa cantando e ritmando la sua opera. Anche il canto è una delle attribuzioni di potere sciamaniche, intendendo un utilizzo di suoni salmodiati, ad un ritmo specifico, al fine di ottenere il vero potere vibrazionale della parola stessa. Ciò che oggi consideriamo formulazione magica o sacra menzione templare.
Una delle figure storiche connesse con la sacralità del mestiere del fabbro, è sicuramente quella dei
Calibi, talmente famosi nella lavorazione dei metalli da essere giunta fino al Medioevo dalla lontana Libia
o Frigia da cui pare provenissero.
Non è da escludere, infatti, che il significato del misterioso nome della spada più famosa al mondo, tramandata come Excalibur ma chiamata originariamente ensis ex Calibi, suggerisca che sia “spada forgiata dai Calibi”, ponendo così un accento ancora più incisivo sulla sacralità della funzione mistico – sciamanica – eroica della figura divina che ritma sull'incudine l'estatico canto che apre le porte del viaggio sciamanico.
Un altro strumento compagno dello sciamano siberiano e centro asiatico è l'arco e la sua freccia che, come ci ricorda Porfirio rifacendosi alla figura misteriosa di Abaris, egli aveva la facoltà di viaggiare a cavallo di una freccia donatagli da Apollo Iperboreo e in alcuni clan ancora oggi esiste l'usanza di scagliare frecce verso il cielo per scongiurare una tempesta.
Degno di nota, poi, è anche il fatto che ad arco sono i diversi strumenti musicali utilizzati durante la trance sciamanica in associazione al tamburo (vedi articolo sugli strumenti sciamanici qui)
Scrive Galiano “ La funzione mantica dell’arco presso questi popoli è stata studiata da Dioszegy[1] : esso è adoperato o ascoltando il suono della corda o guardando nel fuoco tenendo lo sguardo lungo la corda dell’arco o ancora contando le oscillazioni della corda; queste tecniche di divinazione con l’arco sono
conosciute anche nel Nepal.
La pratica potrebbe essere connessa con quanto scriveva Alceo a proposito di Apollo: “Sotto il gomito
tengo molte frecce veloci dentro la faretra, che parlano a coloro che comprendono, ma rispetto al tutto
hanno bisogno di interpreti”, frasi che sottintendono l’utilizzo della freccia come mezzo di conoscenza
della sapienza, la quale ha “bisogno di interpreti”, cioè di coloro che sappiano tradurne il significato,
nel nostro contesto gli sciamani”
A questa disamina degli strumenti sciamanici va aggiunto un tassello fondamentale, forse quello che più ci addentra nel paragone sciamano – cavaliere: l'importanza della cavalcatura. La freccia o il tamburo vengono ad assumere la funzione del cavallo animale che galoppando conduce il cavaliere alla battaglia eroica contro gli spiriti avversi all'armonia della comunità.
Le prime prove che ci sono perveute dell'esistenza di una cultura cavalleresca delle steppe euroasiatiche,
ci viene fornita dalla scoperta a nord del Mare d'Azov, tra i fiumi Dniepr e Don.
Nel villaggio ucraino di Srednij Stog furono rinvenuti i resti di sepolture di tipologia kurgan con all'interno deposti, assieme ai corpi umani, corpi di cavalli, segno dell'addomesticamento e dell'importanza che l'animale rivestiva nelle comunità dell'epoca, risalente a circa il 4000 a. C.
Del resto, le orde cavalleresche giunte fino all'Eurpoa del 1200 sono ben documentate e ricordate come
cavalcature possenti e quasi invincibili e il rapporto stretto tra il cavaliere e il suo cavallo è quanto di più
attestabile fino ai giorni nostri.
Cavallo e ferro, dunque, che rievocano l'immagine del cavaliere possente in armatura, sono gli elementi
che fanno supporre al Galiano, a ragione secondo me, che esiste un'intesa temporale tra le figure dello
sciamano – eroe – guerriero – guaritore e il “moderno” cavaliere medievale.
Una attestata curiosità dell'importanza delle armi di metallo presso le antiche popolazioni sciamaniche, ci
viene dalla cultura Osseta o Alanica (meglio conosciuti dalla storia come Sciti o Sarmati) e da Ammiano Marcellino che racconta “Presso di loro [gli Alani] non si trovano templi o santuari, ma onorano devotamente solo una nuda spada piantata in terra secondo un rito barbaro, simbolo del loro Dio della guerra”.
Impossibile non eseguire un'associazione con una più famosa spada piantata nella roccia!
“Il significato del tamburo-cavallo che porta lo sciamano nei suoi viaggi attraverso i tre mondi si ritrova [...] nei guerrieri omerici guidatori del carro da battaglia e “domatori di cavallo”, che hanno per
iniziatore l’uomo-cavallo Chirone, ma esso presenta analogie ancora più complete e complesse nel caso
del cavaliere: per questi il cavallo è il compagno in vita, come cavalcatura che lo conduce in battaglia, e
in morte, in quanto sacrificato e deposto accanto al suo padrone, come testimoniano le tombe dei
cavalieri dal II millennio a.C. almeno fino al VII sec. d.C.”(P. Galiano)
Un'altra peculiarità che mi fa pensare a quanto il Galiano possa aver azzeccato il fil rouge che collega le radici sciamaniche alla più “moderna” cavalleria è l'aver notato che in diversi elmi ritrovati presso differenti culture, è presente un elemento indiscutibilmente di origine sciamanica: gli occhi.
Durante l'estasi, infatti, allo sciamano viene posto un copricapo che presenta il disegno di un paio d'occhi spalancati a simboleggiare i “secondi occhi” dello sciamano che gli servono per osservare i mondi in cui viene condotto, assieme al suo tamburo – cavallo, per fronteggiare gli spiriti.
(Elmo d'oro di Poiana Cotofenesti (ora chiamato Poiana Vărbilău), contea di Prahova, Romania. Risale alla prima metà del IV secolo a.C. Museo Nazionale di Storia della Romania a Bucarest, Romania)
(Elmo dacico in argento e con tacche in oro datato al IV secolo a.C.)
(Elmi vichinghi rinvenuti in Danimarca risalenti circa al 900 a.C.)
Incuriosita da questa scoperta ho effettuato una ricerca approfondita, per immagini, di elmi dell'epoca circoscritta nel primo millennio a.C. Pare che, da quello che ho potuto constatare, solo alcuni elmi riconducibili alle popolazioni della Dacia – Tracia oltre a quello vichingo ritrovato in Danimarca, fossero appartenuti a guerrieri – cavalieri – sciamani. Evidentemente tali figure, come sospettabile, formavano una sorta di elite cavalleresca con poteri straordinari e forse sono gli stessi eroi – cavalieri che hanno cavalcato il tempo e la storia giungendo, nelle leggende, fino a noi.
Del resto, concludendo momentaneamente questa indagine, come dice Mastromattei: “[...] la condizione eroica [dello sciamano] nel suo complesso, [è] caratterizzata da un rapporto con la iatromanzia, il mondo dei morti, la caccia con esseri teriomorfi e genericamente mostruosi – spesso educatori ed allevatori – e viaggi in luoghi lontani e perigliosi, condotti di norma a buon fine con l’aiuto di esseri extraumani di varia origine, funzione ed aspetto…[nonché] un rapporto con la guerra, gli agoni e il duello, con una particolare ferocia, con il travestitismo, l’ermafroditismo ed altre singolarità sessuali. A tutto ciò va aggiunta una varia e multiforme condizione estatica. Questa condizione, fondamentale e primaria nello sciamanismo, è particolarmente saliente nella sfera eroica nella forma del furore guerresco”.
O quel furore divino che pare forgiante gli antichi eroi leggendari.
Grazie
Monica
Fonti:
Academia.edu : “Sciamani e Cavalieri” di Paolo Galiano Medico e umanista. Dirige la collana “Roma e le civiltà del Mediterraneo” per le Edizioni Simmetria ed è membro del Comitato Editoriale della rivista Atrium. Autore di articoli di studi tradizionali comparsi su Simmetrìa, Atrium, Excalibur ed altre riviste.
Franco Cardini: storico e saggista specializzato nello studio del Medioevo
Ammiano Marcellino: storico sirio romano della tarda età imperiale, autore de Rerum Gestarum
Mastromattei: Sciamani in Eurasia – il rito che sopravvive